Un po' di giorni fa, un mio
amico ha pubblicato su una pagina Fb che gestisce, “Ribelli”, un video
riguardante il fenomeno delle scie chimiche, vale a dire quelle striature che
appaiono nel cielo e che molti potrebbero scambiare per scie di condensazione
rilasciate dagli aerei nei loro passaggi: a renderle distinguibili da queste
ultime, ci sono la persistenza delle tracce e le forme disparate che esse
assumono, forme “artificiali” rispetto a quelle del normale nuvolame di origine
naturale.
Ovviamente, il motivo per cui
sono diventate note in rete non è la loro estetica, ma il fatto che siano scie
dovute al rilascio di sostanze chimiche (da qui il nome) in grado di alterare le
condizioni atmosferiche nelle zone in cui vengono emesse: secondo i
complottisti (amichevolmente appellati dagli scettici come “gomblottisti” per
sottolinearne l’ingenuità paesanotta che li induce a vedere ovunque pericoli e
nemici inesistenti), oltre ad essere un’ulteriore fonte di inquinamento
dell’aria e di avvelenamento di terre ed acque sottostanti, queste scie sono
tentativi, più o meno efficaci, di manipolazione tanto del clima quanto dei
suoi ricaschi sulle attività umane nelle aree interessate. È abbastanza
evidente che poter decidere dove far piovere o per quanto tempo far splendere
il sole su un certo territorio può mettere in ginocchio l’economia, e di
conseguenza anche la popolazione, di un paese, danneggiandone ad esempio le
attività turistiche o le colture: un trucchetto utile quindi in tempo di pace e
in tempo di guerra. Ma giocare col nostro pianeta non è esattamente come una
partita di Risiko. Sono anni e anni che si sente parlare (in verità,
“bisbigliare” rende meglio l’idea) delle scie chimiche – io perlomeno ne sono
informata dal 2007-08, quando mi trovavo in Austria – ma la stragrande
maggioranza della cittadinanza non ne è al corrente o, se ne sa qualcosa, crede
che si tratti dei vaneggiamenti di qualche folle ossessionato appunto da teorie
di complotto.
Quest’anno ho passato giorni
tremendi durante il mese di luglio: un caldo soffocante, che non dava respiro
neanche durante la notte, per giorni e giorni senza soluzione di continuità. Dentro
di me risuonava un insofferente ritornello: “Luglio, col bene che ti voglio,
che tu sia maledetto!” E, come se l’afa non fosse stata supplizio sufficiente,
un coro di imbecilli – perché non c’è altra spiegazione plausibile per tanta
stupidità, a meno che costoro non siano degli ibridi a sangue freddo frutto di
incroci umani con i rettili – sproloquiava contro chi si augurava un
abbassamento delle temperature, qualche giorno di nuvole, di pioggia, di tregua
soprattutto. No, loro volevano i 35° fissi all’ombra, perché sennò addio
tintarella e happy hour…e poi tanto potevano rimediare alla canicola tuffandosi
in piscina, facendosi docce su docce, ma soprattutto accendendo i loro
beneamati e onnipresenti condizionatori. Ora, lungi da me criticare un oggetto
che effettivamente si rivela provvidenziale in determinate circostanze, ma
trovo quantomeno demenziale e ottuso che si usino ovunque climatizzatori e condizionatori per raffreddare negozi,
case, uffici, quando questi apparecchi non sanno far altro che generare
ulteriore calore (in quanto macchine, l’energia termica è un sottoprodotto
inevitabile) e riversare all’esterno il calore stesso sottratto agli edifici. In
altre parole, e tralasciando del tutto il discorso sui rischi per la salute
legati agli sbalzi di temperatura o alla pulizia dei filtri stessi, in cui
possono facilmente annidarsi batteri letali, anziché risolvere il problema questi
condizionatori peggiorano ulteriormente il clima generale rendendolo
insostenibile. Venissero almeno utilizzati per avere semplicemente temperature
più accettabili dal nostro organismo, abbassandole giusto di qualche grado: no,
pare che quando all’esterno c’è un caldo tropicale nei negozi e negli uffici
sia d’obbligo ricreare l’aria frizzante delle Dolomiti, in modo da potersi
vestire con giacca e cravatta e senza correre il rischio di sudare anche
minimamente.
Tutto questo rientra naturalmente
nel quadretto del “self-made weather” che è un accessorio imprescindibile del
self-made man (definizione che di suo è una contraddizione lampante: come
potrebbe mai un uomo “farsi” da sé?): ma dico, ve l’immaginate un self-made man
che lavora o va a farsi un aperitivo con le ascelle pezzate per il sudore?!!?
Giammai, ne va del suo onore! (self-made anche quello, of course)
Non gli passa lontanamente per la
testa, a quest’ometto “che non deve chiedere, mai!”, che non può giocherellare
impunemente con i quattro elementi come fa con i tasti del telecomando,
illudendosi poi di sfangarla col suo zapping perché si crede più furbo del
Padreterno. Quando ero bambina, mi hanno insegnato che l’Italia si colloca
nella fascia dal cosiddetto clima temperato…beh, personalmente penso che alcuni
concetti di geografia andrebbero rivisti. Dopo un’estate che ha alternato
allarmi per crisi di caldo africano a notizie di disastri dovuti a piogge
torrenziali, non credo sia tanto peregrina l’idea che ormai il nostro clima stia
diventando sempre più di tipo tropicale. E Settembre, l’avete visto?! Un mese
che adoro da sempre, per quell’atmosfera fantastica che unisce la dolcezza
della natura in maturazione con le temperature più gradevoli, per quei giorni
in cui il sole regala tramonti migliori, per quell’immalinconirsi della luce e
l’evidenziarsi delle ombre…beh, quest’anno è stato un brusco salto da una
calura asfissiante da agosto matto, che ha fatto soffrire non poco gli alunni
già tornati nelle loro classi, al freddo susseguirsi di piogge infinite e
temporali violenti da novembre inoltrato: un giorno dormivo con a malapena un
lenzuolo e quello successivo plaid e trapuntine non bastavano a scaldarmi. Vi
pare normale un Settembre simile?
Ma di cosa ci stupiamo, in fondo?
Direi che ce lo siamo anche meritato, questo bel casino! Ci sono già stati cambiamenti
irreversibili e anziché preoccuparci di tamponarli, di rallentare questa corsa
verso l’autodistruzione, acceleriamo ancor di più il processo, dimostrando così
una letale miopia che ci lascia guardare solo al (piccolo) vantaggio immediato.
Mai un passo indietro, mai un mea culpa che porti a rivedere le proprie
abitudini sbagliate, senza aspettare che siano le alte sfere a muoversi in
controtendenza. Intanto ci scaviamo la fossa con allegria suicida e guai a chi
dovesse farci notare quale bel futuro si profili all’orizzonte! Una lunga
sfilza di simpatici epiteti attende gli uccelli del malaugurio che osino
parlare di disastri annunciati, di catastrofi di cui portiamo intera la
responsabilità…sono tutti Cassandra. Destinati come lei a non essere creduti,
se non decisamente irrisi. Si sa, so’ gomblottisti!!!
La cosa peggiore di questi
teorici del complotto però è che hanno la tendenza a parlare e parlare e
parlare, sempre con la recondita speranza di risvegliare la consapevolezza di
qualcun altro, di riuscire a fare la differenza, anche solo per una persona.
Mentre ero in Austria, cominciai
ad osservare meglio il cielo, sentendomi però abbastanza sicura che sulle
montagne degli Alti Tauri ci fosse ben poco da manipolare e che quindi non
avrei notato nulla di irregolare. E invece scoprii che perfino lassù comparivano
strane scie: iniziai a fotografare col mio cellulare nuvole “coi buchi” o aloni
iridescenti in un cielo terso, pensando di accumulare “materiale probatorio”
(teh, ecco a voi la ecogiornalista d’assalto!). Tornata in Italia, raccontai
anche a mia madre delle scie chimiche e di come si potessero identificare; mentre
andavamo in giro insieme le facevo notare le forme “artificiose”, gli spigoli,
i buchi, il modo strano in cui una nuvoletta si “sfilacciava”; le mostrai anche
alcune foto prese dal web, per renderla più autonoma nel notare dettagli “sbagliati”,
e lei fece come suo solito. Come aveva fatto anche quando, diciottenne, ero
rimasta così “toccata” da una canzone di Vecchioni da fargliela sentire piena
di aspettative, pensando di poter suscitare in lei le stesse emozioni che avevo
provato io: lei aveva ‘subìto’ la mia proposta e poi aveva tagliato corto “sì,
vabbe’, brava, ma ora devo pulire gli spinaci.”
Mai ‘na gioia, oh…ma tanto si sa,
nemo propheta in patria.
Anni e anni dopo, ero andata a
fare acquisti con lei, fuori città; ritornate all’auto, mentre ero impegnata a sistemare
le buste sul sedile posteriore, la sentii chiedere con tono fermo: “Quelle
laggiù sono scie chimiche, giusto?”
Alzai la testa e guardai nella
direzione che mi indicava: sopra le colline dall’altra parte della vallata,
c’erano delle scie biancastre, disposte a griglia, di quelle che presentano
interruzioni regolari di densità nella trama, come talvolta si fa con i pastelli
per dare l’idea di texture diverse. Riguardai mia madre e sorrisi:
“Sì, esatto, sono proprio scie
chimiche! Brava, brava mamma!!!”
La mia vittoria personale con
anni di ritardo, quando non me l’aspettavo più. J
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