venerdì 6 novembre 2015

Spirit in the Sky

Un po' di giorni fa, un mio amico ha pubblicato su una pagina Fb che gestisce, “Ribelli”, un video riguardante il fenomeno delle scie chimiche, vale a dire quelle striature che appaiono nel cielo e che molti potrebbero scambiare per scie di condensazione rilasciate dagli aerei nei loro passaggi: a renderle distinguibili da queste ultime, ci sono la persistenza delle tracce e le forme disparate che esse assumono, forme “artificiali” rispetto a quelle del normale nuvolame di origine naturale.
Ovviamente, il motivo per cui sono diventate note in rete non è la loro estetica, ma il fatto che siano scie dovute al rilascio di sostanze chimiche (da qui il nome) in grado di alterare le condizioni atmosferiche nelle zone in cui vengono emesse: secondo i complottisti (amichevolmente appellati dagli scettici come “gomblottisti” per sottolinearne l’ingenuità paesanotta che li induce a vedere ovunque pericoli e nemici inesistenti), oltre ad essere un’ulteriore fonte di inquinamento dell’aria e di avvelenamento di terre ed acque sottostanti, queste scie sono tentativi, più o meno efficaci, di manipolazione tanto del clima quanto dei suoi ricaschi sulle attività umane nelle aree interessate. È abbastanza evidente che poter decidere dove far piovere o per quanto tempo far splendere il sole su un certo territorio può mettere in ginocchio l’economia, e di conseguenza anche la popolazione, di un paese, danneggiandone ad esempio le attività turistiche o le colture: un trucchetto utile quindi in tempo di pace e in tempo di guerra. Ma giocare col nostro pianeta non è esattamente come una partita di Risiko. Sono anni e anni che si sente parlare (in verità, “bisbigliare” rende meglio l’idea) delle scie chimiche – io perlomeno ne sono informata dal 2007-08, quando mi trovavo in Austria – ma la stragrande maggioranza della cittadinanza non ne è al corrente o, se ne sa qualcosa, crede che si tratti dei vaneggiamenti di qualche folle ossessionato appunto da teorie di complotto.


Quest’anno ho passato giorni tremendi durante il mese di luglio: un caldo soffocante, che non dava respiro neanche durante la notte, per giorni e giorni senza soluzione di continuità. Dentro di me risuonava un insofferente ritornello: “Luglio, col bene che ti voglio, che tu sia maledetto!” E, come se l’afa non fosse stata supplizio sufficiente, un coro di imbecilli – perché non c’è altra spiegazione plausibile per tanta stupidità, a meno che costoro non siano degli ibridi a sangue freddo frutto di incroci umani con i rettili – sproloquiava contro chi si augurava un abbassamento delle temperature, qualche giorno di nuvole, di pioggia, di tregua soprattutto. No, loro volevano i 35° fissi all’ombra, perché sennò addio tintarella e happy hour…e poi tanto potevano rimediare alla canicola tuffandosi in piscina, facendosi docce su docce, ma soprattutto accendendo i loro beneamati e onnipresenti condizionatori. Ora, lungi da me criticare un oggetto che effettivamente si rivela provvidenziale in determinate circostanze, ma trovo quantomeno demenziale e ottuso che si usino ovunque climatizzatori e condizionatori per raffreddare negozi, case, uffici, quando questi apparecchi non sanno far altro che generare ulteriore calore (in quanto macchine, l’energia termica è un sottoprodotto inevitabile) e riversare all’esterno il calore stesso sottratto agli edifici. In altre parole, e tralasciando del tutto il discorso sui rischi per la salute legati agli sbalzi di temperatura o alla pulizia dei filtri stessi, in cui possono facilmente annidarsi batteri letali, anziché risolvere il problema questi condizionatori peggiorano ulteriormente il clima generale rendendolo insostenibile. Venissero almeno utilizzati per avere semplicemente temperature più accettabili dal nostro organismo, abbassandole giusto di qualche grado: no, pare che quando all’esterno c’è un caldo tropicale nei negozi e negli uffici sia d’obbligo ricreare l’aria frizzante delle Dolomiti, in modo da potersi vestire con giacca e cravatta e senza correre il rischio di sudare anche minimamente.

Tutto questo rientra naturalmente nel quadretto del “self-made weather” che è un accessorio imprescindibile del self-made man (definizione che di suo è una contraddizione lampante: come potrebbe mai un uomo “farsi” da sé?): ma dico, ve l’immaginate un self-made man che lavora o va a farsi un aperitivo con le ascelle pezzate per il sudore?!!? Giammai, ne va del suo onore! (self-made anche quello, of course)
Non gli passa lontanamente per la testa, a quest’ometto “che non deve chiedere, mai!”, che non può giocherellare impunemente con i quattro elementi come fa con i tasti del telecomando, illudendosi poi di sfangarla col suo zapping perché si crede più furbo del Padreterno. Quando ero bambina, mi hanno insegnato che l’Italia si colloca nella fascia dal cosiddetto clima temperato…beh, personalmente penso che alcuni concetti di geografia andrebbero rivisti. Dopo un’estate che ha alternato allarmi per crisi di caldo africano a notizie di disastri dovuti a piogge torrenziali, non credo sia tanto peregrina l’idea che ormai il nostro clima stia diventando sempre più di tipo tropicale. E Settembre, l’avete visto?! Un mese che adoro da sempre, per quell’atmosfera fantastica che unisce la dolcezza della natura in maturazione con le temperature più gradevoli, per quei giorni in cui il sole regala tramonti migliori, per quell’immalinconirsi della luce e l’evidenziarsi delle ombre…beh, quest’anno è stato un brusco salto da una calura asfissiante da agosto matto, che ha fatto soffrire non poco gli alunni già tornati nelle loro classi, al freddo susseguirsi di piogge infinite e temporali violenti da novembre inoltrato: un giorno dormivo con a malapena un lenzuolo e quello successivo plaid e trapuntine non bastavano a scaldarmi. Vi pare normale un Settembre simile?

Ma di cosa ci stupiamo, in fondo? Direi che ce lo siamo anche meritato, questo bel casino! Ci sono già stati cambiamenti irreversibili e anziché preoccuparci di tamponarli, di rallentare questa corsa verso l’autodistruzione, acceleriamo ancor di più il processo, dimostrando così una letale miopia che ci lascia guardare solo al (piccolo) vantaggio immediato. Mai un passo indietro, mai un mea culpa che porti a rivedere le proprie abitudini sbagliate, senza aspettare che siano le alte sfere a muoversi in controtendenza. Intanto ci scaviamo la fossa con allegria suicida e guai a chi dovesse farci notare quale bel futuro si profili all’orizzonte! Una lunga sfilza di simpatici epiteti attende gli uccelli del malaugurio che osino parlare di disastri annunciati, di catastrofi di cui portiamo intera la responsabilità…sono tutti Cassandra. Destinati come lei a non essere creduti, se non decisamente irrisi. Si sa, so’ gomblottisti!!!
La cosa peggiore di questi teorici del complotto però è che hanno la tendenza a parlare e parlare e parlare, sempre con la recondita speranza di risvegliare la consapevolezza di qualcun altro, di riuscire a fare la differenza, anche solo per una persona.

Mentre ero in Austria, cominciai ad osservare meglio il cielo, sentendomi però abbastanza sicura che sulle montagne degli Alti Tauri ci fosse ben poco da manipolare e che quindi non avrei notato nulla di irregolare. E invece scoprii che perfino lassù comparivano strane scie: iniziai a fotografare col mio cellulare nuvole “coi buchi” o aloni iridescenti in un cielo terso, pensando di accumulare “materiale probatorio” (teh, ecco a voi la ecogiornalista d’assalto!). Tornata in Italia, raccontai anche a mia madre delle scie chimiche e di come si potessero identificare; mentre andavamo in giro insieme le facevo notare le forme “artificiose”, gli spigoli, i buchi, il modo strano in cui una nuvoletta si “sfilacciava”; le mostrai anche alcune foto prese dal web, per renderla più autonoma nel notare dettagli “sbagliati”, e lei fece come suo solito. Come aveva fatto anche quando, diciottenne, ero rimasta così “toccata” da una canzone di Vecchioni da fargliela sentire piena di aspettative, pensando di poter suscitare in lei le stesse emozioni che avevo provato io: lei aveva ‘subìto’ la mia proposta e poi aveva tagliato corto “sì, vabbe’, brava, ma ora devo pulire gli spinaci.”

Mai ‘na gioia, oh…ma tanto si sa, nemo propheta in patria.

Anni e anni dopo, ero andata a fare acquisti con lei, fuori città; ritornate all’auto, mentre ero impegnata a sistemare le buste sul sedile posteriore, la sentii chiedere con tono fermo: “Quelle laggiù sono scie chimiche, giusto?”
Alzai la testa e guardai nella direzione che mi indicava: sopra le colline dall’altra parte della vallata, c’erano delle scie biancastre, disposte a griglia, di quelle che presentano interruzioni regolari di densità nella trama, come talvolta si fa con i pastelli per dare l’idea di texture diverse. Riguardai mia madre e sorrisi:
“Sì, esatto, sono proprio scie chimiche! Brava, brava mamma!!!”

La mia vittoria personale con anni di ritardo, quando non me l’aspettavo più. J

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