sabato 7 novembre 2015

"Sei un mito!"

No no, calma, qui non c’entrano nulla gli 883 (anzi, “l’883”, alla fine Pezzali era solo)…e grazie al cielo!
Qui si parla proprio di mito nel vero senso del termine, e non solo perché la storia comincia nella mia adolescenza (lost in the mists of time, ammettiamolo): tutto ebbe inizio nell’estate che precedette il mio ingresso alle superiori, quando trovai un libretto appartenuto a mia madre ragazzina (costava 700 lire, un prezzo al quale non si trova neanche un caffè al distributore automatico oggigiorno), intitolato “Dei ed eroi”, di Eugenio Treves. Fu un colpo di fulmine: lo lessi avidamente, avvinta dalla narrazione piena di colpi di scena e dallo stile un po’ antiquato in cui era stata scritta. Termini dal sapore dannunziano come “chioccolare”, l’autore alternava immagini auliche ed eleganti a momenti ridicoli, a tratti si respirava un lirismo quasi ottocentesco. E intanto sotto i miei occhi si dipanavano le storie che avevano dato vita al pantheon greco, dalla cosmogonia alle vicende di Ulisse e soci: fu lì che mi appassionai a quel mondo immaginario, gustandomi le trovate degli Argonauti o il trasformismo di quel mandrillone di Zeus, le furbate di Ermes bambino, la storia triste dei Dioscuri, il ratto di Proserpina, il terrore di Dafne, le atrocità degli Atridi, il tranello teso a Diana dal suo stesso fratello.
Poco tempo dopo quella casuale full immersion nella mitologia, entrai in quarto ginnasio: in tante versioni di greco, ricorreva una formula che mi è rimasta impressa e che in certe occasioni ritiro fuori, tra me e me: “Ὁ μῦθος δηλοῖ”, “il mito dimostra (che…)”, “la storia insegna (che…)”. Introduceva la morale della favola, l’insegnamento universale che andava tratto da quel brano. E anche il mito era un racconto, a cavallo tra la leggenda, la parabola e la pura narrativa.

Accanto al variegato mondo di dei e semidei, anche i fumetti mi offrivano degli spunti convergenti: il principe Namor fu il trampolino che mi fece tuffare nel regno di Atlantide.





La Marvel infatti, già negli anni ’70, aveva trovato nel Submariner un avversario-alleato dal tragico passato per I Fantastici Quattro, oltre a creare altre storie episodiche che raccontavano di lotte e regni sottomarini.
Namor era ferocemente contrario alla razza umana, che riteneva inferiore alla sua (con la singola eccezione di Sue Storm, confermando così il detto atlantideo che recita “tira più una bionda cotonata che un banco di tonni”) nonché responsabile dell’annientamento del suo popolo.
Ma non era solo la Marvel a pensare al mito di Atlantide in quegli anni: Donovan, il menestrello scozzese, raccontò a modo suo la storia di questo continente scomparso in una celebre canzone, che forse qualcuno di voi avrà avuto modo di ascoltare per la prima volta nell’episodio di Futurama in cui Fry si fidanza con una sirena, abitante della perduta città di Atlanta (ep. The Deep South). Secondo la ballata di Donovan, Atlantide era un’immensa isola, una terra emersa situata tra le coste dell’America e quelle dell’Africa, da cui “beautiful sailors” veleggiavano verso lidi lontani in their ships of painted sails, e sarebbe stato l’oceano omonimo a prenderne il posto in seguito al diluvio universale. Ma, consapevole del terribile evento che l’avrebbe sommersa, Atlantide ebbe modo di inviare delle navi, a bordo delle quali c’erano quelli che Donovan chiama “i Dodici”: ognuna di queste dodici figure reca con sé un tesoro di sapienza che andrebbe altrimenti perduta assieme alla civiltà da cui proviene, ed ognuna di esse presiede a una diversa branca del sapere umano, proprio come gli dei del mondo ellenico, poesia, medicina, agricoltura, scienza, magia…Donovan spiega che è proprio da esse che la “nostra” umanità ha appreso a vivere, poiché furono loro, confusi dagli uomini con delle divinità, a fornirci le conoscenze necessarie a coltivare, curare, creare, comporre. Ad essere uomini a nostra volta.

Rimasero al fianco dell’umanità, in qualità di anziani della loro epoca, scegliendo di dimenticare il proprio passato e di lasciare che l’umanità scampata al diluvio gioisse nell’innocenza di una nuova opportunità.

Ὁ μῦθος δηλοῖ”, Hail Atlantis!



Anche un cantautore italiano si è cimentato con la storia del “continente sommerso”; personalmente ritengo che la versione più bella che Battiato ne dà sia la Atlantide proposta nel suo live Last Summer Dance. La sua Atlantide è figlia della mitologia greca: prende le mosse da una disputa tra fratelli, e che fratelli!


“E gli dei tirarono a sorte, si divisero il mondo: Zeus la terra, Ade gli inferi, Poseidon il continente sommerso.”
Zeus aveva fatto la parte del leone (tipico di Zeus!), e d’altra parte era stato lui a liberare i fratelli, un po’ se l’era guadagnato il diritto alla parte migliore; ad Ade (che non era mai stato un tipo di compagnia) era toccata l’eredità meno allegra, ma Poseidon era fatto di tutt’altra pasta: collerico e orgoglioso, non si sarebbe certo accontentato di un regno abitato da dannati e anime tremule. Ci si era messo d’impegno (e d’altro canto non era mica Zeus, che un giorno sì e quell’altro pure dava la caccia a qualunque essere di sesso femminile – e non solo – si aggirasse nel cosmo!), era riuscito a far emergere la sua terra dall’abisso e l’aveva poi ricolmata di benessere e prosperità. Il primo sovrano, Atlante, dotato di conoscenze esoteriche e astronomiche, aveva governato questo paese con giustizia e rettitudine, preservandolo dalla corruzione e dalle umane debolezze, aumentandone lo splendore e la magnificenza, e dopo di lui altri re si erano succeduti sul trono mantenendo inalterate l’equità e l’incorruttibilità del proprio incarico.
Eppure anche questo paradiso incontaminato riceve la visita di un serpente velenoso, che conduce alla rovina gli abitanti e con essi l’intera civiltà di Atlantide. Stavolta a corrompere l’eden e annientare l’equilibrio su cui l’isola poggia è proprio “il carattere umano”, il contatto con l’umanità in quanto condizione dello spirito: gli atlantidei nella loro purezza incorruttibile e nella loro inviolabile indifferenza non possiedono forza sufficiente a respingere il virus umano, non sanno proteggersi dal contagio, non riescono a tollerare “neppure la felicità…neppure la felicità”.
Un momento solo strumentale racconta la confusione e lo sgomento di quegli attimi, possiamo intuire l’andirivieni angosciato di chi vede sgretolarsi il proprio mondo e non sa dove trovare riparo, il giorno e la notte in cui “la distruzione avvenne” come negli ultimi istanti di Pompei; poi improvvisamente le dinamiche si placano, cala il silenzio, mentre l’isola ormai disabitata viene consegnata al proprio destino: tra le note delicate del pianoforte, Atlantide scivola placidamente sotto il pelo dell’acqua e si inabissa, relegata per sempre all’oscurità e all’oblio. Ὁ μῦθος δηλοῖ”.
Lunga vita e prosperità, terrestri! ;-)

venerdì 6 novembre 2015

A volte, se senti rumore di zoccoli…è proprio un cavallo, non una zebra! :D

Pashmina azzurra avvolta intorno alla testa, cuffiette nelle orecchie, mi appresto a scendere dal bus. Un signore che mi fissa da un po’ mi chiede qualcosa che suona tipo “sei soprana?”. Non capisco, sfilo un auricolare per sentire meglio la domanda che viene ripetuta ancora ma il trabiccolo sferraglia un po’ troppo allegramente mentre rallenta sull’asfalto bagnato: forse mi sta chiedendo se sono una musicista?

Sfilo anche l’altro auricolare e finalmente mi pone la fatidica domanda per l’ultima volta:
“Sei musulmana?”
“No, piove e mi devo coprire la testa!”

Questione di dimensioni

"Quando gli operai si trovano, giocano a calcio;
quando gli industriali si trovano, giocano a tennis;
quando i politici si trovano, giocano a golf.
Più grande è il potere, più piccole sono le palle."

Goodness gracious!

Spirit in the Sky

Un po' di giorni fa, un mio amico ha pubblicato su una pagina Fb che gestisce, “Ribelli”, un video riguardante il fenomeno delle scie chimiche, vale a dire quelle striature che appaiono nel cielo e che molti potrebbero scambiare per scie di condensazione rilasciate dagli aerei nei loro passaggi: a renderle distinguibili da queste ultime, ci sono la persistenza delle tracce e le forme disparate che esse assumono, forme “artificiali” rispetto a quelle del normale nuvolame di origine naturale.
Ovviamente, il motivo per cui sono diventate note in rete non è la loro estetica, ma il fatto che siano scie dovute al rilascio di sostanze chimiche (da qui il nome) in grado di alterare le condizioni atmosferiche nelle zone in cui vengono emesse: secondo i complottisti (amichevolmente appellati dagli scettici come “gomblottisti” per sottolinearne l’ingenuità paesanotta che li induce a vedere ovunque pericoli e nemici inesistenti), oltre ad essere un’ulteriore fonte di inquinamento dell’aria e di avvelenamento di terre ed acque sottostanti, queste scie sono tentativi, più o meno efficaci, di manipolazione tanto del clima quanto dei suoi ricaschi sulle attività umane nelle aree interessate. È abbastanza evidente che poter decidere dove far piovere o per quanto tempo far splendere il sole su un certo territorio può mettere in ginocchio l’economia, e di conseguenza anche la popolazione, di un paese, danneggiandone ad esempio le attività turistiche o le colture: un trucchetto utile quindi in tempo di pace e in tempo di guerra. Ma giocare col nostro pianeta non è esattamente come una partita di Risiko. Sono anni e anni che si sente parlare (in verità, “bisbigliare” rende meglio l’idea) delle scie chimiche – io perlomeno ne sono informata dal 2007-08, quando mi trovavo in Austria – ma la stragrande maggioranza della cittadinanza non ne è al corrente o, se ne sa qualcosa, crede che si tratti dei vaneggiamenti di qualche folle ossessionato appunto da teorie di complotto.


Quest’anno ho passato giorni tremendi durante il mese di luglio: un caldo soffocante, che non dava respiro neanche durante la notte, per giorni e giorni senza soluzione di continuità. Dentro di me risuonava un insofferente ritornello: “Luglio, col bene che ti voglio, che tu sia maledetto!” E, come se l’afa non fosse stata supplizio sufficiente, un coro di imbecilli – perché non c’è altra spiegazione plausibile per tanta stupidità, a meno che costoro non siano degli ibridi a sangue freddo frutto di incroci umani con i rettili – sproloquiava contro chi si augurava un abbassamento delle temperature, qualche giorno di nuvole, di pioggia, di tregua soprattutto. No, loro volevano i 35° fissi all’ombra, perché sennò addio tintarella e happy hour…e poi tanto potevano rimediare alla canicola tuffandosi in piscina, facendosi docce su docce, ma soprattutto accendendo i loro beneamati e onnipresenti condizionatori. Ora, lungi da me criticare un oggetto che effettivamente si rivela provvidenziale in determinate circostanze, ma trovo quantomeno demenziale e ottuso che si usino ovunque climatizzatori e condizionatori per raffreddare negozi, case, uffici, quando questi apparecchi non sanno far altro che generare ulteriore calore (in quanto macchine, l’energia termica è un sottoprodotto inevitabile) e riversare all’esterno il calore stesso sottratto agli edifici. In altre parole, e tralasciando del tutto il discorso sui rischi per la salute legati agli sbalzi di temperatura o alla pulizia dei filtri stessi, in cui possono facilmente annidarsi batteri letali, anziché risolvere il problema questi condizionatori peggiorano ulteriormente il clima generale rendendolo insostenibile. Venissero almeno utilizzati per avere semplicemente temperature più accettabili dal nostro organismo, abbassandole giusto di qualche grado: no, pare che quando all’esterno c’è un caldo tropicale nei negozi e negli uffici sia d’obbligo ricreare l’aria frizzante delle Dolomiti, in modo da potersi vestire con giacca e cravatta e senza correre il rischio di sudare anche minimamente.

Tutto questo rientra naturalmente nel quadretto del “self-made weather” che è un accessorio imprescindibile del self-made man (definizione che di suo è una contraddizione lampante: come potrebbe mai un uomo “farsi” da sé?): ma dico, ve l’immaginate un self-made man che lavora o va a farsi un aperitivo con le ascelle pezzate per il sudore?!!? Giammai, ne va del suo onore! (self-made anche quello, of course)
Non gli passa lontanamente per la testa, a quest’ometto “che non deve chiedere, mai!”, che non può giocherellare impunemente con i quattro elementi come fa con i tasti del telecomando, illudendosi poi di sfangarla col suo zapping perché si crede più furbo del Padreterno. Quando ero bambina, mi hanno insegnato che l’Italia si colloca nella fascia dal cosiddetto clima temperato…beh, personalmente penso che alcuni concetti di geografia andrebbero rivisti. Dopo un’estate che ha alternato allarmi per crisi di caldo africano a notizie di disastri dovuti a piogge torrenziali, non credo sia tanto peregrina l’idea che ormai il nostro clima stia diventando sempre più di tipo tropicale. E Settembre, l’avete visto?! Un mese che adoro da sempre, per quell’atmosfera fantastica che unisce la dolcezza della natura in maturazione con le temperature più gradevoli, per quei giorni in cui il sole regala tramonti migliori, per quell’immalinconirsi della luce e l’evidenziarsi delle ombre…beh, quest’anno è stato un brusco salto da una calura asfissiante da agosto matto, che ha fatto soffrire non poco gli alunni già tornati nelle loro classi, al freddo susseguirsi di piogge infinite e temporali violenti da novembre inoltrato: un giorno dormivo con a malapena un lenzuolo e quello successivo plaid e trapuntine non bastavano a scaldarmi. Vi pare normale un Settembre simile?

Ma di cosa ci stupiamo, in fondo? Direi che ce lo siamo anche meritato, questo bel casino! Ci sono già stati cambiamenti irreversibili e anziché preoccuparci di tamponarli, di rallentare questa corsa verso l’autodistruzione, acceleriamo ancor di più il processo, dimostrando così una letale miopia che ci lascia guardare solo al (piccolo) vantaggio immediato. Mai un passo indietro, mai un mea culpa che porti a rivedere le proprie abitudini sbagliate, senza aspettare che siano le alte sfere a muoversi in controtendenza. Intanto ci scaviamo la fossa con allegria suicida e guai a chi dovesse farci notare quale bel futuro si profili all’orizzonte! Una lunga sfilza di simpatici epiteti attende gli uccelli del malaugurio che osino parlare di disastri annunciati, di catastrofi di cui portiamo intera la responsabilità…sono tutti Cassandra. Destinati come lei a non essere creduti, se non decisamente irrisi. Si sa, so’ gomblottisti!!!
La cosa peggiore di questi teorici del complotto però è che hanno la tendenza a parlare e parlare e parlare, sempre con la recondita speranza di risvegliare la consapevolezza di qualcun altro, di riuscire a fare la differenza, anche solo per una persona.

Mentre ero in Austria, cominciai ad osservare meglio il cielo, sentendomi però abbastanza sicura che sulle montagne degli Alti Tauri ci fosse ben poco da manipolare e che quindi non avrei notato nulla di irregolare. E invece scoprii che perfino lassù comparivano strane scie: iniziai a fotografare col mio cellulare nuvole “coi buchi” o aloni iridescenti in un cielo terso, pensando di accumulare “materiale probatorio” (teh, ecco a voi la ecogiornalista d’assalto!). Tornata in Italia, raccontai anche a mia madre delle scie chimiche e di come si potessero identificare; mentre andavamo in giro insieme le facevo notare le forme “artificiose”, gli spigoli, i buchi, il modo strano in cui una nuvoletta si “sfilacciava”; le mostrai anche alcune foto prese dal web, per renderla più autonoma nel notare dettagli “sbagliati”, e lei fece come suo solito. Come aveva fatto anche quando, diciottenne, ero rimasta così “toccata” da una canzone di Vecchioni da fargliela sentire piena di aspettative, pensando di poter suscitare in lei le stesse emozioni che avevo provato io: lei aveva ‘subìto’ la mia proposta e poi aveva tagliato corto “sì, vabbe’, brava, ma ora devo pulire gli spinaci.”

Mai ‘na gioia, oh…ma tanto si sa, nemo propheta in patria.